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  • Angelica Sanson

PUO' UN PERIODO DI STASI PRODURRE UN CAMBIAMENTO?

Solo nei momenti più difficili poniamo attenzione a cose che, di solito, diamo per scontate.

Alcuni di noi avevano la sveglia alle sei. Alcuni aspettavano al freddo l’autobus sempre in ritardo, altri si arrabbiavano davanti ad un semaforo che si ostinava a rimanere rosso. I più giovani vivevano la paura dell’interrogazione, altri la fretta di accompagnare i bambini a calcio o a danza. Molti aspettavano il fine settimana per una cena fuori, un aperitivo, o un semplice pranzo di famiglia.

Tutti noi avevamo tutto e non ce ne rendevamo conto. Vivevamo la nostra quotidianità con monotonia, con noia e con stanchezza. Non ci siamo mai accorti che, in realtà, la nostra giornata era perfetta così com’era. Non che mancassero i problemi, di quelli ognuno di noi ne avrebbe fatto anche a meno ovviamente, ma le nostre giornate erano piene, forse anche troppo in certi momenti. Piene di emozioni, piene di attività, di lavori da svolgere, di responsabilità da portare a termine. Le nostre giornate erano ricche di contatti umani. Ognuno di noi era immerso in una socialità travolgente, dai più piccoli ai più anziani. Era difficile trovare il modo per dedicare il giusto tempo a tutti. Quante volte abbiamo detto frasi come “nonna oggi non riesco a venire, sono troppo impegnato” o “vengo domani, oggi non posso”.

La scelta a chi, o a cosa, dedicare il nostro tempo era solo nostra, dipendeva solo da noi: dai nostri impegni e dalle nostre voglie. Chissà quante volte abbiamo fatto la scelta sbagliata.

Avevamo tutto e non ce ne siamo mai accorti. Quella che era vita, l’abbiamo sempre vissuta come una scocciatura: la fretta, i ritardi, le arrabbiature. Eravamo noi. Abbiamo smesso di vivere ancora prima di essere costretti in casa.

Abbiamo smesso di essere umani quando, a colazione, non ci siamo più resi conto del profumo del caffè, quando di fronte ad un’attesa di un anziano abbiamo risposto con una delusione, quando la scuola e l’università sono diventati solo un obbligo e un peso, quando il lavoro è diventato solo il tempo necessario per collegare un fine settimana all’altro. Ci eravamo privati della bellezza della vita ancora prima di rimanere chiusi in casa. Solo non ce ne rendevamo conto. Non ci siamo mai davvero accorti che un giorno potevamo esserci e che l’altro saremo potuti sparire come polvere. Ci sentivamo invincibili, con la nostra giovane età, con l’ultimo paio di scarpe, con la playlist sempre aggiornata, ad aspettare il nuovo tormentone estivo.

È bastato un parassita per fermarci. In realtà, neppure quello. Almeno non all’inizio. L’essere umano, a volte, sa essere molto stupido. Non solo smette di vivere ancora prima di crepare, ma si ostina a voler camminare per una strada sbagliata, anche se segnata da indicazioni forti e chiare. I richiami delle feste, della movida, erano così forti per alcuni di noi che abbiamo continuato a fare come se niente fosse. Stupidità, certo, ma anche incoscienza: dite ad un ragazzo che potrebbe morire da un momento all’altro, o ancora peggio che potrebbe trovarsi senza i propri cari, e metterà quasi sicuramente in atto l’unico atteggiamento che conosce. La sfida. Solo all’inizio però. Poi, diventiamo animali. Quando annusiamo il pericolo, il nostro istinto di sopravvivenza si accende e ci fa provare l’unica emozione in grado di bloccarci, di segnarci la retta via: la paura.

Da mesi stiamo convivendo con la paura di morire, di causare dei danni irreparabili a chi amiamo e di rimanere soli. Chiusi in casa, abbiamo iniziato a sentirci soli oltre che spaventati. Eppure, il posto che prima ci stava stretto, ora ci sembra il luogo più sicuro del mondo. La nostra casa è diventata il nostro mondo, i nostri genitori le uniche persone con cui viviamo, i nostri fidanzati i nostri compagni di viaggi, i nostri nonni gemme da proteggere e i nostri amici mancanze lontane.

Alcuni penseranno che siamo diventati atomi, ma in realtà lo eravamo prima. Ora abbiamo solo capito a chi dedicare davvero il nostro tempo. Ci siamo accorti, per alcuni di noi forse per la prima volta, di non essere immortali.

Abbiamo assaporato di nuovo la bellezza di avere i muscoli dolenti, dopo una corsa in argine, dove magari abbiamo rivolto il viso al sole soffermandoci sul tepore del calore autunnale. Dove magari non eravamo mai stati. Siamo tornati a sentire la mancanza di un sorriso, e non solo perché non si riescono più ad avere o a vedere labbra colorate, ma perché abbiamo capito che è necessario, è vitale. Abbiamo riprovato l’emozione di rivedere una persona dopo molto tempo. Stiamo pregando per ritornare a lavoro, a scuola o all’università. Stiamo sperando di poter allontanare da noi l’insicurezza che proviamo a stare vicino alle persone sconosciute. Preghiamo per una cura, per una soluzione, per un vaccino che funzioni. Preghiamo per la vita.

Alcuni di noi hanno già perso i propri cari, persone amiche o conoscenti. Eppure, la speranza rimane. “Dobbiamo portar pazienza”, “questi sacrifici sono necessari”, “non sarà per sempre”.

Nessuno di noi sa per quanto tempo dovremmo ancora vivere con la paura dettata da un rischio concreto, con la solitudine necessaria e con il sacrificio della lontananza da chi vorremmo al nostro fianco. L’unica cosa certa, forse, è la nuova consapevolezza che molti di noi hanno acquisito. Abbiamo imparato ciò che è davvero importante, abbiamo imparato a chi dire davvero grazie. Le piccole cose sono diventate grandi. Siamo tornati ad essere umani.

I bambini potrebbero dire che è stata la magia del Natale, altri lo potrebbero chiamare miracolo. Per ora, io chiamerei tutto questo umanità.

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