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  • Alberto Rossi e Angelica Sanson

QUANDO I LIMITI DIVENTANO CONFINI INDEFINITI: TRA TEATRO E REALTÁ

"Tutto il mondo è un teatro e tutti gli uomini e le donne non sono che attori: essi hanno le loro uscite e le loro entrate; e una stessa persona, nella sua vita, rappresenta diverse parti”. Scriveva così William Shakespeare nella commedia pastorale “As you like it”, scritta tra il 1599 e il 1600.

Il teatro non sarebbe altro che una semplice realtà vissuta in un palcoscenico, uno specchio delle molteplici vite che ogni giorno viviamo, ruoli che abbiamo scelto di recitare più per gli altri che per noi stessi.

Si potrebbe vedere il teatro come una trasposizione della vita ordinaria, ma forse è la stessa vita ad essere diventata un teatro. Se leggessimo in questo modo le nostre maschere ideologiche, sociali, economiche e politiche, forse, riusciremo davvero ad andare oltre l’immediatezza, smascherando le nostre illusioni, le nostre idee e i nostri stessi ruoli. Una ricerca di senso che parte dalla finzione, in questo caso dal teatro, per arrivare a ciò che chiamiamo realtà.

Una delle opere teatrali più interessanti del Novecento è “Waiting for Godot”, scritta da Samuel Beckett nel 1952. Quest’opera appartiene al filone del “Teatro dell’assurdo”, genere molto in voga tra gli anni Quaranta e gli anni Sessanta, soprattutto in Europa. Tra gli esponenti più importanti di questa corrente figurano, oltre a Beckett (1906-1989), Eugène Ionesco (1909-1994), Arthur Adamov (1908-1970) e Jean Tardieu (1903-1995). Ciò che caratterizza l’assurdo di cui questi autori parlano va dal netto rifiuto della drammaturgia tradizionale, che si lega alla rinuncia di un linguaggio di tipo logico-consequenziale, alla mancanza di senso nei dialoghi intrattenuti dai personaggi. Con questa rivoluzione in campo teatrale ci si è mossi verso un cambiamento di paradigma rispetto alle linee guida dettate da una tradizione iniziata con “La Poetica” di Aristotele, dove il teatro aveva una funzione non solo riflessiva ma soprattutto catarchica.

L’articolazione formata dalla trama di eventi, la loro concatenazione e il loro scioglimento vengono così sostituite da una serie di fatti privi di logica e coerenza. Questa totale assenza di consequenzialità, ad un primo sguardo, rende l’intera opera priva di corpo e di sostanza. Ai personaggi non resterebbe altra condizione che essere vittime della casualità che li sovrasta. Questo dato è rinvenibile all’interno della stessa opera teatrale “Waiting for Godot”, costruita attorno al tema dell’inutile attesa.

Nella rappresentazione scenica, vi sono due personaggi principali: Vladimir, chiamato anche Didi, e Estragon, o Gogo. Per tutta la sceneggiatura continueranno ad aspettare inutilmente il “Signor Godot”. Quest’ultimo continuerà ad inviare un ragazzo per avvisare i due protagonisti che “oggi non verrà, ma verrà domani”. Un domani che si protrae all’infinito e che diventerà mai.

Sulla scena solo la presenza di un albero per regolare la cadenza temporale delle stagioni che si susseguono e per suggerire il passare inesorabile dei giorni. La povertà scenica e l’impossibilità di trovare il modo per oltrepassare un’attesa priva di senso sono elementi importanti, che definiscono la situazione di empasse in cui si trovano Vladimir ed Estragon.

Altri due personaggi, Pozzo e Lucky, entreranno in questo racconto teatrale. Sono legati da un rapporto di schiavitù: Lucky viene trattato da bestia e tenuto a guinzaglio dal padrone crudele Pozzo. Solo poche battute e poi escono di scena. Alla fine rientreranno, ma non saranno più gli stessi. Pozzo sarà cieco, mentre Lucky muto, incapace di esprimersi.

Tutti i personaggi beckettiani sono sottomessi ad un destino privo di qualsiasi causa ed effetto. I pochi dialoghi tra i vari protagonisti risultano esseri anch’essi privi di senso.

Lo schema fondamentale del Teatro dell’assurdo rileva come la razionalità venga spodestata dall’irrazionalità, la logicità dall’illogicità, il senso dal nonsenso. Lo stesso legame tra parola e azione viene meno, tanto che quando Didi e Gogo decidono di andarsene, in realtà continueranno ad attendere immobili.

Per quanto possa sembrare inutile stare ad ascoltare due personaggi di cui non si sa quasi nulla e il cui linguaggio si rivela completamente inefficace, “Waiting for Godot” dischiude un senso che scaturisce da un nonsenso. Eppure, è proprio dal nonsenso che emerge quella consapevolezza che permette di intuire come l’esistenza umana sia destinata a essere appesa ad un filo, sovrastata dalla necessità della più cieca casualità, tormentata dalla caducità e marchiata dall’effimerità.

Rispetto ad un certo tipo di teatro più tradizionale, il teatro dell’assurdo beckettiano mira ad aprire a domande essenziali e inesauribili che caratterizzano questioni mai veramente risolte della sfera esistenziale umana.

Anche se il modo di affrontare le tematiche umane risulti essere diverso per le varie epoche, il teatro è la forma d’arte, assieme al cinema, in grado di portare in vita i drammi, le paure e quelle verità nascoste, e a volte scomode, che caratterizzano il nostro assurdo modo di vivere.

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